Stagione teatrale 2007-2008
Grazie al rapporto di intenti e di progetto con la Fondazione Banca Agricola Mantovana, Mantova Teatro edizione 2007 – 2008 appare particolarmente ricca nei contenuti e nel numero delle proposte. Grandi artisti si confronteranno con il pubblico da ottobre ad aprile, innestando la creatività nella tradizione. Spettacoli di punta dell’intera stagione italiana, quali I giganti della montagna di Lombardi e Tiezzi, o La trilogia della villeggiatura di Toni Servillo, accenderanno le serate invernali di grandi emozioni.
Allo scopo di elevare non solo la qualità ma anche la fruibilità del Teatro da parte degli appassionati, la stagione si presenta per la prima volta in due palcoscenici diversi, che tuttavia vengono uniti in un solo cartellone. Alla sede consueta del Teatro Ariston si aggiunge il prestigioso spazio del Teatro Sociale, che viene così riportato al centro di una programmazione di prosa convincente e significativa. Fondamentale appare inoltre l’apporto di Teatro Donna con le sue suggestioni al femminile, che vedono ad esempio la partecipazione di Milva nel difficile ruolo di interprete e voce dell’intenso romanzo di Paolo Maurensig. Infine, va sottolineata la collaborazione con il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, tramite due spettacoli – Edipo a Colono e Virgilio e l’amore – che evocano in modo diverso l’idea dell’antichità e della bellezza, declinata a partire da marzo nell’esposizione La Forza del Bello. Tragico, comico e narrazione si completano nell’affabulazione della scena per avvincere lo spettatore alla bellezza del Teatro.
Programma
Teatro Ariston
LA FATTORIA DEGLI ANIMALI
di Gigi Bertoni, tratto dall’omonimo romanzo di George Orwell, regia di Alberto Grilli
Seguendo le pagine dell’omonimo romanzo di George Orwell, si narra la rivolta degli animali di una fattoria contro il padrone. Dopo la vittoria, questi si riorganizzano secondo i principi di fratellanza e uguaglianza. Ben presto però i maiali prendono il sopravvento e diventano in tutto e per tutto uguali al padrone uomo.
In questo inizio secolo, il tempo ci attraversa alla velocità di uno zapping televisivo. Dove sono finiti i punti di riferimento per i bambini e per gli adolescenti? Diviene una necessità fermarsi un momento a riflettere. Per questo viene oggi proposto uno spettacolo sulla memoria, sull’importanza che ha per l’uomo l’esercizio del ricordare: non come puro esercizio nostalgico, ma perché la vita è fatta dalla somma delle nostre esperienze. Solo se teniamo bene a mente i pericoli, i rischi, le nefandezze della storia possiamo sperare di superarle, un giorno.
Teatro Sociale
LA ZATTERA DI VESALIO
di Giorgio Celli
La compagnia Ars. Creazione e Spettacolo si cimenta nuovamente con l’opera dell’entomologo e scrittore bolognese, mettendo in scena un testo teatrale inedito cui l’autore è particolarmente legato. La guida del gruppo è affidata al regista cinematografico Giorgio Diritti, che affronta in chiave insolita un’amara riflessione sull’apocalisse contemporanea di valori e di princìpi. La zattera di Vesalio ha un referente storico: il naufragio avvenuto nell’ottocento del vascello La Meduse, che vide i sopravvissuti di una nave da guerra divorarsi a vicenda sopra una zattera. Il testo crea un’invenzione epico-fantastica, l’incontro di due personaggi reali, ma storicamente lontani, che presto entrano in conflitto: Vesalio di Brussel, il grande anatomista del Cinquecento, e la sua grottesca ma rivelatrice parodia, Peter Kurten, lo squartatore di Dusseldorf, giustiziato poco prima dell’avvento dei nazisti al potere. Vesalio e Kurten, lo scienziato e il mostro, sono figure apparentemente antitetiche, ma la loro similarità è profonda e insopprimibile; necrofilia e sadismo sono due facce di una stessa medaglia.
Teatro Ariston
MEIN KAMPF
di George Tabori, con Marcello Bartoli e Dario Cantarelli
L’autore costruisce uno scenario paradossale per un improbabile ma verosimile incontro tra il giovane Hitler, aspirante pittore, e un mendicante ebreo nella grande Vienna avviata alla guerra e alla decadenza. La pièce, portata in scena da due straordinari interpreti, presenta uomini che alimentano questa singolare amicizia con episodi di lotta efferata e momenti di servilismo, contesa e rivalità in una convivenza naturale fra gli opposti che li condurrà ad un euforico banchetto di sangue.
Tabori, con umorismo nero e spietato, alternato ad improvvisi squarci poetici, ci racconta un universo in cui il male riesce a presentarsi con una gradevolezza accettabile: è la banalità del male, la realtà effettuale dell’assurdo. Allora, l’unico modo per arrivare alla salvezza è il rovesciamento dei valori.
Teatro Ariston
NEL
di e con Alessandro Bergonzoni, regia di Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi
Bergonzoni proseguirà in questo spettacolo il suo costante movimento per sfuggire alle insidie e ai trabocchetti del reale e del verosimile e trovare, insieme al pubblico che lo seguirà, nuovi sentieri mentali per raggiungere punti d’osservazione elevati da dove poter vedere tutto con prospettive diverse. In fin dei conti un illusionista fa sparire gli oggetti o fa apparire il nulla?
“Un’ideale corda tesa a delimitare gli spazi del monologo da quelli del soliloquio. Un attore-attore che si muove nella ricerca di una precisione contemporaneamente complessa e comicamente dissonante. Uno spazio per sottolineare la reale linea d’ombra di Alessandro Bergonzoni, mai come stavolta, sotto i vostri occhi e per i vostri cervelli”. Riccardo Rodolfi
Teatro Sociale
LA VARIANTE DI LÜNEBURG
dal Romanzo di Paolo Maurensig, adattamento teatrale e testi delle canzoni di Paolo Maurensig, con Milva e Walter Mramor, musiche originali e direzione di Valter Silviotti
“La produzione vede la riscrittura del testo da parte dello stesso autore sia della parte narrata che delle canzoni, la composizione delle musiche a firma Valter Sivilotti, la partecipazione di Milva quale straordinaria interprete delle canzoni, di Walter Mramor quale voce recitante, dalla soprano solista Franca Drioli, e dove richiesto anche dell’Orchestra e Coro ArsAtelier”. Walter Mramor
“La peculiarità tipica del teatro, ovvero la possibilità cioè di far uso di un’essenzialità portata agli estremi, mi ha convinto. Estrapolare un testo essenziale e scrivere le parole per le canzoni di Milva mi hanno rinnovato l’emozione provata a suo tempo nello scrivere il romanzo”. Paolo Maurensig
Teatro Sociale
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello, con Sandro Lombardi
Con I Giganti della Montagna Pirandello segna il suo dramma più arcaico: misteriosi elementi fantastici si intrecciano a caratteri di fiaba; elementi della vita si trasfigurano nel ritmo teatrale delle visioni: fino a spingere i protagonosti/attori a chiedersi dove sia la verità. Ultimo testo, e incompiuto, I Giganti della Montagna affonda le mani in alcuni interrogativi: cos’è l’arte? Quale è il linguaggio che può più di ogni altro combattere l’omologazione e scardinarla? E qual è il ruolo dell’arte in una società che ha dimenticato la classicità, l’antichità, l’arte della comunicazione teatrale? Pirandello lascia aperto lo spazio a risposte che lo spettatore dovrà trovare da solo. Lo spettacolo lo racconterà utilizzando una fusione di linguaggi: recitazione, musica, arte visiva, immagini proiettate, danza. Un Pirandello giocato secondo i colori e le visioni del Fellini di Otto e Mezzo e della Dolce Vita e quelle letterarie del Pasolini di Petrolio e degli Scritti Corsari. I giganti della montagna innalza al teatro un canto d’amore appassionato e struggente: un teatro che, con intuizione profetica, Pirandello già vedeva minacciato nella sua natura più intima e più legata alla tradizione squisitamente italiana: un teatro di mirabolanti effetti scenici ottenuti con poveri mezzi da un lato, e dall’altro un teatro la cui sostanza profonda fosse la verità umana dei suoi ‘personaggi
Teatro Ariston
DON FAUSTO
di Antonio Petito, con Salvatore Caruso e Rosario Giglio, regia e adattamento di Arturo Cirillo
Il Faust, “creato dall’immaginazione alemanna e poetizzato tanto magnificamente dal sommo Goethe”, diventa nella mente di Antonio Petito Don Fausto Barilotto; il quale chiamandosi allo stesso modo del personaggio goethiano crede di essere lui. Come una specie di Don Chisciotte napoletano gli viene allestito, nella forma di un teatro povero ed ingenuo, un viaggio sapienziale, nella speranza di sanarlo dalla sua follia, che si concluderà con la salita in paradiso di una Margherita Pulcinella. In una lingua violenta e poetica si rappresenta tutta la pericolosità e la follia dell’immaginazione fuori dai confini della ragione. Facendo finta di fare una parodia si creano risonanze tra antiche mitologie germaniche e napoletane, in cui si risente della forza di una cultura popolare, con uomini mezzi animali, giocando tra la terra e il cielo.
Teatro Sociale
LA TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA
di Carlo Goldoni, con Toni Servillo, regia di Toni Servillo
Ciò che conquista della Trilogia della Villeggiatura è la sua assoluta originalità, la sua perfetta architettura teatrale. Sotto i nostri occhi, nello svolgimento delle tre commedie, assistiamo, come se si trattasse di un romanzo, alla trasformazione dei personaggi in “persone” i cui destini, le cui emozioni, ci riguardano e ci toccano profondamente. Questa trasformazione è visibile soprattutto in Giacinta, che sembra sottrarsi alla propria rappresentazione per rivolgersi, nei suoi monologhi, direttamente al pubblico, alla vita. I preparativi per la villeggiatura, l’ansia per la partenza, il tempo disteso delle partite a carte, delle conversazioni estive, a cui seguono i silenzi malinconici del rientro in città, hanno una scansione temporale, un movimento emotivo, un migrare sentimentale fatto di attese e delusioni, di speranze e conflitti, di ottimismo ed infelicità. I personaggi che via via incontriamo sembrano raccontarci un oggi animato dalla necessità di “esserci” piuttosto che di “essere”, da una ricerca ostinata e nevrotica della felicità, dall’incapacità di intravedere, all’orizzonte, novità che sostituiscano le abitudini. Goldoni ci offre un’analisi lucida e cruda di questo mondo, che è anche il nostro. Un mondo in cui i sentimenti e i destini sono spesso trattati con fredda aridità, alla stregua di una partita doppia.
Teatro Ariston
NOI, LE RAGAZZE DEGLI ANNI ’60
di e con Grazia Scuccimarra
Preso di mira, in chiave ironica e pungente, è quello che fu il modo di essere giovani negli anni Sessanta, cioè il modo di amare, vestire, studiare, sognare, atteggiarsi, fare politica, muoversi nel sociale, ecc, in un’epoca di tradizione e fermenti insieme. Restano coinvolti nella satira, accusati o accusatori, non solo i giovani degli anni ’60 ma anche coloro che produssero quella generazione, da un lato, e i giovani d’oggi, dall’altro. Uno spettacolo che nel lontano 1983 anticipò incredibilmente i tempi, mettendo in guardia i giovani di allora dall’inesorabile ritorno di quel favoloso decennio. E quel favoloso decennio è tornato, trionfante in tutto il suo splendore: se ne ripropongono la musica, gli abiti, i sentimenti, le scale di valori, i volti e le voci, forse nel disperato tentativo di restituire un contenuto a quel senso di vuoto disorientante che sembra attanagliare tutti, giovani e meno giovani. Con dolcezza e commozione, ma anche con rancore e tanta voglia di saldare vecchi conti, apriamo nuovamente il sipario su di noi, giovani e meno giovani, uniti nel tentativo di essere sempre, comunque, protagonisti. Ridiamo di come eravamo sciocchi, teneri e inconsapevoli, e di come siamo oggi, sicuramente coscienti, senza più veli a coprire la realtà ma, al tempo stesso, tanto comicamente patetici nel volere far finta che tutto possa tornare azzurro e sereno come in quegli anni.
Teatro Sociale
VIRGILIO E L’AMORE
con Vitaliano Trevisan e Adriano Evangelisti, adattamento di Federica Restani, regia di Raffaele Latagliata e Federica Restani
Una performance tra narrazione, teatro e danza per raccontare la Forza del Bello secondo il monaco lorenese Jean de Haute-Seille. Per questo spettacolo prodotto in occasione della Grande Mostra di Palazzo Te va in scena la storia del re Dolopathos, lo stesso che dà il nome al romanzo medioevale in lingua latina, tradotto da Giovanni Pasetti, a cui lo spettacolo si ispira. Vitaliano Trevisan, reciterà tre egloghe virgiliane tratte dalle bella traduzione delle Bucoliche di Giorgio Bernardi Perini per l’edizione Tre Lune. A fare da cornice al racconto le coreografie di Cristiano Fagioli per gli atletici danzatori di RBR Dance company, che presentano quest’anno lo spettacolo Statuaria ispirato all’arte antica. A narrare la vicenda romanzesca Adriano Evangelisti, nei panni di Dolopathos. La regia è di Raffaele Latagliata e Federica Restani, che ha curato anche l’adattamento drammaturgico, per il gruppo Ars. Creazione e Spettacolo. Inserito tra i progetti sostenuti dalla Fondazione Banca Agricola Mantovana Virgilio e l’Amore fa parte del cicloArte e Teatro, che ha visto anche la messinscena nel 2006 di La Fabula d’Orpheo di Poliziano per la regia di Gianfranco de Bosio con le Musiche di Claudio Gallico e La guerra di Piero di Fernanda Pivano con Judith Malina nel 2007. Precederà lo spettacolo la presentazione della mostra La Forza del Bello. Lo spettacolo è sostenuto da Fondazione “Umberto Artioli” e Centro Internazionale di Palazzo Te.
Teatro Sociale
CARA LA PELLE
di Enrica Provasi, liberamente tratto da “Come se io non ci fossi” di Slavenka Drakulic e “Cecenia.Il disonore russo” di Anna Politkovskaja
Il 7 ottobre 2006 è morta Anna Politkovskaja, assassinata a colpi di pistola nell’ascensore della sua casa, a Mosca. Era una delle poche giornaliste russe che avesse ancora il coraggio di denunciare la corruzione mafiosa del governo Putin e l’infinita serie di violenze, torture, rapimenti, stupri, esecuzioni e massacri perpetrati dalle truppe federali sui civili in Cecenia. Era una donna libera ed era piena di coraggio. Cara la pelle è un lavoro nato grazie anche ai suoi libri. Ed è a lei che lo dedichiamo.
Teatro Sociale
EDIPO A COLONO
da Sofocle, con Roberto Herlitzka
Edipo a Colono di Sofocle è forse il più alto paradigma poetico del dolore, da esso affiorano le radici di tutta l’espressività dell’angoscia cui ha dato vita l’arte occidentale. Il testo di Ruggero Cappuccio rievoca il mito con una scrittura addensata nel moto sonoro di endecasillabi e settenari, spina dorsale di una lingua italiana antichissima e moderna, erosa al suo interno da siciliano e napoletano. Così la storia di Edipo vive di una vitalità ferina, in cui il mondo basso materiale e corporeo costituisce l’essenza stessa della necessità poetica. Nella partitura per Roberto Herlitzka, Edipo è uomo di questo tempo, assediato dai fantasmi che lo perseguitano e che egli stesso ama evocare. L’uccisione di un padre, l’incesto, la perdita del potere, l’accecamento volontario, raccontano i drammi persistenti dell’umano attraverso la mutevolezza dei secoli. Laio, Giocasta, Antigone, Ismene, Eteocle,Polinice, Creonte, sono le apparizioni inquietanti di Edipo e di ogni uomo, sono i nodi irrisolvibili che determinano la necessità del ripetere il dolore per rivivere la sfida al più alto dei misteri delle culture ellenistiche e moderne: sé stessi.
Teatro Ariston
LA BUONA MADRE
di Carlo Goldoni
Il testo, che appare oggi di grandissimo spessore e modernità, racconta di un figlio che si innamora di una ragazza che non lo ama, alla quale fa credere di essere ricco, e delle strategie di una madre per farlo sposare invece con una ricca vedova, salvando così le sorti di una famiglia ormai in rovina. Nicoletto, il giovane figlio di Barbara, la “buona madre” del titolo, è visto come la vittima designata di un complotto di donne, in diversi modi innamorate di lui, tramato per impedire la sua maturazione sentimentale e virile. Nicoletto è un figlio imperfetto e il suo tentativo di recidere il cordone ombelicale attraverso l’innamoramento per la giovane Daniela, le sue bugie, le sue goffe violenze, non saranno suffcicienti a liberarlo dal controllo oppressivo della madre. Il giovane verrà infatti ricacciato da quest’ultima nelle braccia di un’ardente vedovella, interpretata dalla stessa attrice che interpreta la sua innamorata, a sottolineare così l’impotente circolo vizioso intrapreso da Nicoletto. Barbara è Venezia, come quest’ultima ha un passato migliore del suo presente. E’ la Venezia non più riproduttiva, che soffoca i propri figli in nome di un potere che il passato le ha conferito. Anche Nicoletto è Venezia, la città di un tentato futuro. Il tempo che ha davanti a sé è quello della sconfitta, della mediocrità, dell’eterna adolescenza. Barbara ne ha impedito la maturazione, ne ha soffocato la libertà, ne ha distrutto la virilità. Una tragedia edipica col tono di commedia, ma anche metafora di Venezia, città asfittica e cannibale.
Teatro Sociale
L’UCCELLO DI FUOCO
di Igor Stravinskij, con Lindsay Kemp
“Creo la coreografia per L’uccello di Fuoco in una versione fiaba-mito dove il principe è eroe, l’uccello di fuoco è divinità antica – una fenice che attacca e combatte, in questo spettacolo il male e il bene si oppongono in maniera epica e non ironica, come ho fatto altre volte. L’argomento è tratto da una fiaba russa e narra l’ avventura del principe Ivan Tsarevitch che combatte con un mago potente e cattivo: Kaschej, che tiene prigionieri e sotto incantesimo principesse e cavalieri. L’Uccello di fuoco leggendario, come se lo avesse narrato Tolken, è una creatura alata nata da un braciere, una fiaba che diviene o ritorna mito in una versione nuova, lontana da ogni edizione precedente. L’immagine del volatile incandescente non esprime leggerezza ma forza; un uccello che vola è anche sinonimo di libertà: l’uccello di fuoco è il riscatto di chi è prigioniero e la sua piuma è il simbolo di quest’idea. Mi sono ispirato ai film di avventura fantasy, e precisamente ad un “capolavoro” degli anni 80: Conan il Barbaro diretto da John Milius, dove l’eroe è un distruttore dal cuore di pietra. Che poi, quando si innamora, svela il suo aspetto principesco e nobile nelle azioni più eroiche. Grande attenzione è data alla musica di Stravinskij, opera considerata universalmente un capolavoro”. Fredy Franzutti
Teatro Sociale
NESSUNO È SCOMPARSO
di e con Luca Bonaffini, regia di Federica Restani
Difficile definire il genere di uno spettacolo come questo, se con “genere” si intende una forma precisa, definita e perché no rassicurante. Qui nulla rassicura, tutto emoziona e dunque induce al pensiero, alla reazione, obbliga a partecipare. Bonaffini usa ognuna delle sue innumerevoli corde di cantautore per manifestare il suo ritorno, con un’umanità e una naturalezza che sono davvero universali. “Nessuno è scomparso”, anche senza il palcoscenico a disposizione, è già una rappresentazione viva e vitale dell’esperienza dell’artista: la rinascita dopo un’apocalisse, come sagacemente accenna nel prologo, il rinnovamento dello sguardo che osserva una galleria granguignolesca di tipi umani che hanno esaurito la loro linfa, mentre il nostro autore è appena “risorto” a se stesso, l’accettazione dell’autoironia come pratica depurativa e senza azzardo salvifica. Lo spettacolo accoglie questa esperienza umana e musicale e le offre una collocazione amica: le dona una scatola magica, in cui il mondo scomparso e quello nuovo dialogano nella leggerezza della fiaba. Accompagnato da una vasta installazione dell’opera di Vittorio Bustaffa, il concerto diviene teatro di esperienza attiva, l’occhio vede il mondo di Nessuno, l’orecchio ne percepisce i suoni, il cuore le emozioni. Una poesia che dura il tempo dell’intero spettacolo, da sperimentare con tutti i sensi, questo il nuovo spettacolo di Luca Bonaffini, che con tratto lieve e non invasivo ho cercato di restituire.