Stagione teatrale 2010-2011


Stagione teatrale 2010-2011

 

La riscoperta del Classico offre al Teatro d’oggi l’occasione di investigare i luoghi delle sue radici profonde. I testi di Molière, Sofocle, Shakespeare, Goldoni, Cervantes che verranno presentati al pubblico nella quinta edizione di Mantova Teatro sono il terreno ideale per dare senso alle regie più attuali, unendo le voci immortali degli autori alle problematiche contemporanee. Come accade per la grande musica sinfonica, ogni esecuzione è diversa e innova un linguaggio fertile, che vive nel tempo perchè trova ogni volta una rispondenza singolare nell’animo umano. Il personaggio è infatti immortale se esprime ad ogni ripresa d’atto una contraddizione vivente nel cuore dell’individuo, diventando attraverso l’azione drammatica motore di una vicenda che parla e si divide attraverso la messa in scena. Non mancano tuttavia presenze ed elaborazioni completamente moderne. Le canzoni di Brassens ci riportano alla nascita dell’universo dei cantautori. Marco Bellocchio, reduce dalla regia lirica del Rigoletto mantovano, traspone in opera teatrale il suo folgorante film d’esordio, I pugni in tasca che negli anni sessanta rivelarono la nascita di un giovane autore che voltava decisamente pagina rispetto ai grandi del cinema italiano. Altro esito di una simile ricerca è l’affascinante messa in spettacolo del rutilante Tutto su mia madre, capolavoro di Almodovar, interpretato dalla grande Elisabetta Pozzi. Ma della famiglia e delle sue vicissitudini racconta anche la commedia pungente di Fausto Paravidino, pluripremiata stella del panorama teatrale. Altre carismatiche presenze di attori segnano il percorso della stagione, che vede nel cartellone molte primizie, tra cui ricordiamo Le notti bianche per la regia di Corrado d’Elia, sospese tra Visconti e Dostoevskij, nell’abbacinante estate di San Pietroburgo, che fa parlare i cuori ma non scioglie gli inganni. Così, crediamo che il Comune di Mantova abbia approntato anche in questa edizione una rassegna in grado di coinvolgere il più vasto pubblico, con una particolare attenzione rivolta agli studenti, che potranno vedere svolgersi sul palco alcune delle vicende più vicine a loro, anche oggi, nella realtà complessa che attraversiamo.

Programma Mantova Teatro Pieghevole Programma Teatrinsieme


Programma

28 ottobre 2010
Teatro Ariston
VERDESPERANZA
ideazione e regia di Anna Giacomelli

23 novembre 2010
Teatro Ariston
CHI NON LA PENSA COME NOI Patrucco incontra Brassens
testi di Alberto Patrucco e Antonio Voceri, musiche di George Brassens
Chi non la pensa come noi è prima di ogni altra cosa un incontro. Quello tra la verve satirica di Alberto Patrucco, uno dei più corrosivi monologhisti dell’attuale panorama italiano e il caustico disincanto poetico di Georges Brassens, il più raffinato e ironico cantautore francese del secolo scorso. Diverse epoche storiche, differenti origini, persino distinte discipline: l’arte del monologo da una parte, la canzone d’autore dall’altra. Eppure, in Chi non la pensa come noi, si possono apprezzare lo stesso timbro e le medesime prospettive, oltre al massimo comune denominatore della parola, sempre in primo piano rispetto al contesto. Ed è proprio “la parola” l’attrezzo indispensabile impiegato da questi due artigiani del palcoscenico per smascherare le ipocrisie e le assurdità di quella che ci ostiniamo a definire attualità. Nonostante i testi di Brassens e Patrucco, in taluni casi, siano stati scritti a quasi mezzo secolo di distanza gli uni dagli altri, canzoni e monologhi trovano una fusione ideale e una sorprendente sintonia con la cronaca legata alla quotidianità. Un punto d’equilibrio incredibilmente attuale, il cui fulcro può essere individuato nell’incongruenza della società moderna. Il Quartetto Sotto Spirito interpreta con arrangiamenti originali alcuni brani del maestro, preservati nei loro significati dall’accurata traduzione di Alberto Patrucco e Sergio Sacchi, restituendo agli spettatori la complessità e la profondità musicale di Brassens. Alberto Patrucco torna a cantare, in uno spettacolo comico coinvolgente e graffiante che si colorisce qua e là di musica e poesia. Un incontro tra satira parlata e satira cantata, senza che una dimensione risulti estranea all’altra, sul filo di emozioni da anni dimenticate e finite sotto spirito.

29 novembre 2010
Teatro Sociale
OTELLO
di William Shakespeare, con Sonia Barbadoro e Mauro Conte, regia di Arturo Cirillo
L’Otello è la tragedia della parola. Tutto nasce da un racconto, quello di Otello a Brabanzio e poi a Desdemona. La parola inventa i luoghi, costruisce i sentimenti, determina l’agire dei personaggi.
L’Otello si gioca tra pochi individui che si confrontano ossessivamente tra di loro; il gioco di Iago li trova già tutti pronti, sembra che non aspettavano altro, bastano poche parole e la macchina si mette in moto. La gelosia esiste dal momento che la si nomina, poi come un tarlo, come una frase musicale continuamente ripetuta, non ti abbandona più. La gelosia non si spiega, come la musica. L’Otello si svolge in un’isola, come La Tempesta, in un luogo limitato geograficamente e mentalmente, un luogo dell’ossessione. L’Otello è un letto, disfatto e spesso deserto. É il luogo del tradimento: il palcoscenico immaginario, ma non per questo meno reale della gelosia, della brama, dell’atto animale. La storia finisce a letto, ma il letto c’era già, continuamente evocato. Brabanzio è cacciato fuori del letto, Otello lascia Desdemona a letto, il Doge sarà a letto, a officiare un notturno consiglio di emergenza. L’Otello è tutto sentimento, covato, malato, irrealizzato; si parla di guerre e battaglie che non avvengono mai e intanto nella mente dei personaggi esplode qualcosa di molto più pericoloso. É quello che succede quando gli eserciti si fermano, quando gli uomini non combattono più, quando arriva la fatidica pace.

14 dicembre 2010
Teatro Ariston
ROMEO E GIULIETTA
di William Shakespeare, uno spettacolo di Giuseppe Marini
Al suo terzo incontro con Shakespeare, dopo il Sogno di una notte di mezza estate e Amleto, Giuseppe Marini porta ora in scena la più alta e suprema indagine poetica sulla (vera) natura dell’Amore. Un amore “nato sotto cattiva stella” che, al suo primo apparire, incontra e copula con l’ombra della morte, perché soltanto il desiderio di annullamento attende e ispira una passione talmente pura e assoluta da non sospettare neppure la possibilità del calcolo, del compromesso, della convenienza. La morte, dunque, è presente e operosa in questa prima vera tragedia di Shakespeare e rivela sin da subito quale è l’oggetto preferito del suo assalto. Non i vecchi, ma i giovani nel loro desiderio erotico più intenso, nel pieno del loro tumulto ormonale, nel più dilagante trionfo di vita, di passione, di sensi. Nella “bella” Verona del Prologo, in questa città-tomba dilaniata da risse, duelli, da un odio violento di cui non si conoscono neanche più le ragioni d’origine, ma che ferve di vita, di movimento, di banchetti, di feste, di balli, di maschere… di teatro che, per contrasto, tanto più angosciosa e crudele fa apparire la “chiamata” della morte, non c’è spazio per i giovani e per l’Amore. Fiori prematuramente recisi, Romeo e Giulietta potranno finalmente stare insieme ma soltanto in una cripta, in una sorta di macabro legame eterno, raggelato e “premiato” dalle insulse statue d’oro che verranno erette a loro ricordo.

11 gennaio 2011
Teatro Sociale
EDIPO RE
di Sofocle, con Franco Branciaroli, regia di Antonio Calenda
Lo spettacolo si basa su una rilettura dell’originale sofocleo integrato dai sunti teorici di diversi studiosi e in particolare di Sigmund Freud e di René Girard. Freud riteneva che Edipo Re prefigurasse la metodologia che consente l’esplorazione dell’inconscio: la psicoanalisi. Ecco allora che Antonio Calenda evoca nello spettacolo la messa in scena di una ricerca, che ripercorre all’indietro il tempo, per riafferrare il senso vero e profondo di un passato che è stato frainteso. Ed Edipo ci appare freudianamente disteso sul celebre lettino, mentre attraverso indizi disseminati nel suo vissuto, ricostruisce e riscrive con parole di atroce verità il proprio percorso esistenziale, individuando finalmente le radici del proprio conflitto interiore. L’assunto di René Girard ci illumina su certe dinamiche sociali e di gruppo. Gli individui secondo questo antropologo e filosofo contemporaneo tendono tutti a desiderare il medesimo oggetto e questa “indifferenziazione” genera quasi sempre un sentimento di rabbia e scontro diffusi. Per uscire da tali dinamiche di rivalità e di crisi, la comunità si unisce contro una vittima sacrificale, un capro espiatorio che la purificherà e che una volta immolato sarà investito di sacralità. Edipo è un esempio emblematico di tale dinamica. Il sacrificio, l’espulsione dalla comunità, avviene dopo un lungo e sofferto itinerario di conoscenza. Un itinerario che nella messinscena si svolge quasi fra sonno e veglia del protagonista, con il Coro che funge da ponte fra queste due dimensioni, un coro tutto maschile che fa da eco e moderno, incisivo commento.

17 gennaio 2011
Teatro Ariston
TUTTO SU MIA MADRE
basato sul film di Pedro Almodovar, di Samuel Adamson, con Elisabetta Pozzi, regia di Leo Muscato
Il film di Almodóvar inizia con un bellissimo rapporto fra madre e figlio. C’è un padre assente, ma costantemente presente nei pensieri del figlio alla continua ricerca di un’identità. Si parla di maternità, paternità, omosessualità, uomini che diventano donne, padri che diventano madri. Si parla fortemente di teatro, cinema e scrittura; di malattia, di droga, aids, di trapianti, donazione di organi, d’amore e di morte. Un dolore di fondo, filtrato da una visione ironica dell’esistenza stessa. L’incrocio di questi temi sarebbe potuto diventare un guazzabuglio senza pari. Nelle mani di Almodóvar, invece, ogni cosa si concatena perfettamente, nella vita di tutti quei personaggi che Manuela, la protagonista, incontra nel suo viaggio. Manuela è mossa dal senso di colpa di non essere riuscita a mantener fede a una promessa fatta al figlio Esteban poco prima di morire: raccontargli tutta la verità su suo padre. È questo senso di colpa che la porterà a Barcellona, a confrontarsi col passato, andando alla ricerca di quel padre, a cui poter finalmente raccontare tutto su suo figlio…
L’elemento dominante nel testo di Adamson è la metateatralità, si tratta di un grande omaggio al teatro e all’arte degli attori. Le tematiche presenti nella sceneggiatura cinematografica ci sono tutte, ma filtrate dalla contestualizzazione della vicenda. Qui la narrazione è quasi onirica, filtrata dai pensieri di Esteban, e da quegli appunti che non smette mai di scrivere sul suo taccuino, appunti su un testo teatrale che vorrebbe scrivere su sua madre, il cui titolo sarebbe proprio Tutto su mia madre.

31 gennaio 2011
Teatro Ariston
LE NOTTI BIANCHE dalle memorie di un sognatore
di Fëdor Dostoevskij, con Corrado D’Elia e Desirée Giorgetti, regia di Corrado D’Elia
“Il sognatore, se serve una definizione precisa, non è un uomo ma, sapete, una specie di  essere neutro. Si stabilisce prevalentemente in un angolino inaccessibile, come se volesse nascondersi perfino dalla luce del giorno, e ogni volta che si addentra nel suo angolino, vi aderisce come la chiocciola al guscio, e diventa simile a quell’animale divertente chiamato tartaruga, che è nello stesso tempo un animale e una casa”. Testo magico che ripercorre molti temi fondamentali dell’opera di Dostoevskij. Un impiegato, un “sognatore”, incontra una donna durante una delle sue passeggiate notturne. Nasten’ka  vive quella che appare come la fine di un amore disperato. Apre il suo cuore all’uomo che incontra in un dialogo che dura quattro notti, durante le quali gradualmente appare il sogno di una vita insieme per i due che, incontratisi casualmente, sembrano “riconoscersi”.
“Era una notte incantevole, una di quelle notti che ci sono solo se si è giovani. Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che, dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo così potessero vivere uomini irascibili ed irosi…” Il sogno si spegne improvvisamente  con il ritorno,  nella vita della donna, del suo amante; e l’impiegato si ritrova nuovamente solo e “sognatore”, isolato in una vita avulsa dalla realtà. “Che il tuo cielo sia sereno, che il tuo sorriso sia luminoso e calmo! Sii benedetta per quell’attimo di beatitudine e di felicità che hai donato a un altro cuore, solo, riconoscente!” Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! E’ forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?

8 febbraio 2011
Teatro Sociale
DON CHISCIOTTE
liberamente tratto da Miguel de Cervantes, di Ruggero Capuccio, con Roberto Herlitzka e Lello Arena, regia di Nadia Baldi
Nella versione scenica prodotta da Teatro Segreto Srl, Don Chisciotte è Michele Cervante, è un uomo appassionato di letteratura epica che vive in una profonda solitudine. Emarginato da una società che lo respinge quotidianamente, perde contatto con il mondo reale, attivando una crescente energia visionaria che lo porterà a dialogare con i fantasmi della classicità. L’apparizione di un singolare personaggio che Don Chisciotte trasforma nel suo Salvo Panza innesca il tentativo di riportarlo entro i confini di una ritualità sociale cosiddetta normale. Il protagonista, posseduto dall’anima immortale dell’hidalgo de la Mancha, continua, però, ad alterare la relazione tra passato e presente, inseguendo una visione disperata e poetica dell’esistenza. Il fragilissimo eroe cerca un’ipotetica Dulcinea, che nel suo desiderio si configura come definitivo incontro di salvezza e di pace. Il testo di Ruggero Cappuccio si concentra sul conflitto tra modernità efferata e umanità poetica, sulla solitudine, l’illusione, l’alienazione nel lirismo di una realtà che non è più o che non è mai stata, ma vive fresca nella memoria come ricordo presente. La regia di Nadia Baldi si attesta su confini immutabili, ma non per questo facilmente rintracciabili, quelli che da millenni vivono invariati nel cuore degli uomini. La messinscena, nell’interpretazione di Roberto Herlitzka e Lello Arena, utilizza una delicata indagine interiore a specchio per svelare il rapporto tra dolore e bellezza.

15 febbraio 2011
Teatro Sociale
I PUGNI IN TASCA
di Marco Bellocchio, con Ambra Angiolini e Pier Giorgio Bellocchio, regia di Stefania De Santis
I pugni in tasca è l’adattamento teatrale dell’omonimo di Marco Bellocchio del 1965, curato dallo stesso regista. La storia narra le vicende di una famiglia perennemente in conflitto, inquieta e incapace, che inesorabilmente si avvia verso la propria distruzione. L’unica e complessa scena è lo spazio nel quale si muovono i personaggi: la madre cieca che è legata a una quotidianità fatta di pranzi e cene, e i figli Augusto, materialista e cinico che vuole costruirsi una vita in città, Alessandro che alterna pensieri suicidi con il desiderio di distruggere gli altri per conquistare una sua normalità, Leone, affetto da un forte ritardo mentale, e Giulia, legata a un mondo infantile e a tratti morboso che sfocia nel rapporto incestuoso con Alessandro. Quando l’equilibrio già precario della famiglia viene meno, ecco che nello spazio chiuso avviene la distruzione della famiglia. All’epoca, il film di Bellocchio rappresentò una frattura con il passato e anticipò il periodo di crisi e turbolenze del ’68, ma risulta ancora oggi attuale in un mondo che all’interno del nucleo famigliare vede consumarsi preoccupanti dinamiche. I personaggi non riescono ad amare, non hanno futuro e si sentono costrette in una gabbia dalla quale non trovano un’uscita se non con la morte. Al pubblico, lo spettacolo offre quindi una profonda e dolorosa riflessione su quello che oggi rappresenta la famiglia.

28 febbraio 2011
Teatro Sociale
IL BUGIARDO
di Carlo Goldoni, con Marcello Bartoli e Dario Cantarelli, regia di Paolo Valerio
Il Bugiardo con Marcello Bartoli nei panni di un Pantalone padre caparbio e Dario Cantarelli in veste dell’ambiguo Lelio per la regia di Paolo Valerio debutta in prima nazionale all’Estate Teatrale Veronese nella splendida cornice del Teatro Romano a luglio 2010. Il Bugiardo appartiene alla stagione capitale della carriera teatrale di Carlo Goldoni, quella, nell’anno comico 1750-51, delle cosiddette “sedici commedie nuove” con cui egli – scrivendo il doppio dei testi rispetto al numero fissato dal suo contratto – cerca di imporre il suo nome e la sua opera sul repertorio di compagnia. In realtà si tratta di una “commedia nuova” fino a un certo punto, e questa è la ragione del fascino teatrale che essa emana, del suo prolungato successo nell’Ottocento e del Novecento. Capolavoro della tradizione e novità sono concepiti come perfetti meccanismi teatrali, e in quanto tali teatralmente efficaci per la loro stessa “falsità” e ambiguità. Commedia della propagazione del disegno della menzogna e del plagio – a carico dell’ambiguo Lelio, eroe necessariamente negativo che rappresenta lo stesso teatro – Il Bugiardo è molte cose insieme. Anzitutto una trama che Goldoni “plagia”, o di cui si impossessa a sua volta, da due grandi drammaturghi dell’età barocca, Juan Ruíz de Alarcón e Pierre Corneille, spostandola però sul piano del teatro italiano e della tradizione della commedia dell’arte. Privandola dell’ambiguità metafisica – quella che si imprime nel titolo dello spagnolo: “La verità sospetta” – ma proiettandovi dentro, anche se completamente deformata, un po’ della storia della sua giovinezza, sospesa tra la vita scapestrata ai limiti della società messa in carico a Lelio e al triste, appartato, ruolo dello spento Florindo. Due personaggi che sono – come il barone dimezzato di Italo Calvino – in realtà due facce della stessa medaglia, ovvero della storia di uomo e di autore che Goldoni raccontata per l’intera sua vita, nelle commedie e nell’autobiografia. E se a Florindo egli presta tratti di una vita onorata, fatta di assenza e di “atti mancati, Lelio incarna – a dispetto di ogni disegno di “riforma” – l’irriducibile alterità del teatro, come macchina di menzogna e di devianza, che si può anche chiamare dopotutto “spiritosa invenzione”.

15 marzo 2011
Teatro Ariston
LA MALATTIA DELLA FAMIGLIA M
di Fausto Paravidino, regia di Fausto Paravidino
A poco più di un anno dalla sua prima nazionale, giunge anche a  Mantova quest’ opera graffiante, reduce dal successo delle scene di tutta Europa. Scritta dallo stesso Paradivino, ha come tema fondamentale la disgregazione della famiglia nella fragile provincia del nostro Bel Paese.
Dice il giovanissimo autore, enfant prodige del nostro teatro: Quando si è trattato di tradurre in inglese il testo abbiamo guardato qual era la prima battuta di dialogo. “Tu mi ami?”. “Do you love me?” I personaggi della commedia non fanno altro che girare intorno a quest’ unica domanda. E se lo fanno è perché sono così incerti della risposta da temere che sia negativa. L’assenza di genitori fisici e spirituali obbliga i protagonisti ad una libertà e ad una responsabilità che loro vedono vestita di solitudine, e l’unico rimedio alla solitudine è quel “volersi bene”, troppo invocato perchè possa concretizzarsi con la naturalezza con la quale appunto ci si vuole bene.

31 marzo 2011
Teatro Ariston
MOLIÈRE / LA SCUOLA DELLE MOGLI
di e con Walter Malosti
La scuola delle mogli ruota attorno a un’idea fissa: le corna. È il tema che attraversa tutta l’opera di Molière fino alla crudeltà derisoria del Georges Dandin. È una coazione comica alla catastrofe ma anche un’ossessione che diventa fobia vitale e cuore della commedia. È un testo che ha ricevuto un’attenzione distratta in Italia, perché la tragedia, annidata nella struttura di geniale farsa, complica maledettamente i piani di chi deve ricrearlo. Un altro tema che mi pare fondamentale è il rapporto malato di vittima-carnefice che suona sordo, come un inquietante basso continuo, in sottofondo a tutta la composizione degli scoppiettanti dialoghi 
tra Agnès e Arnolphe, che si aprono a squarci inaspettati di cruda verità. Stabilito il fatto che La scuola delle mogli non è una semplice farsa sostengo che la farsa naturalmente debba conservarsi. Se non si fa ridere con questo testo si fallisce, e penso alla grande lezione delle farse alte e allucinate di Leo de Berardinis e del suo alter ego: il Leòn deBerardin di Scaramouche». Attraverso un processo di ri-creazione del testo, seguendo anzitutto un intuito musicale e guidato nella traduzione da un gesto linguistico che deve poi farsi teatro, ho costruito una partitura che passando per il melodramma verdiano arriva alla canzone, all’hip hop, e ho trovato una misura espressiva in versi liberi, giocando con la lingua attraverso rime, assonanze e ritorni di suono, ma con una grande economia di sillabe; a volte screziandola con un francese maccheronico, eco della lingua artificiale dei comici italiani che dominavano i palcoscenici parigini del ‘600.

 

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